ENVISIONING THINKING

ENVISIONING THINKING

Di Massimo Inguscio, (Presidente CNR)

D. Abbiamo sentito parlare di accelerazione nell’innovazione, di fattore umano, di necessità di governare le nuove tecnologie e i nuovi processi. Professor Inguscio, visto dall’osservatorio privilegiato che presiede, come si pone il mondo della ricerca e dell’innovazione sui temi della giornata, l’accelerazione degli ecosistemi e l’integrazione di dinamiche economiche in grado di consentire una ricerca rapida nel post-Covid?

R. Il Consiglio Nazionale delle Ricerche per la ricostruzione, come fu chiamato nell’immediato dopoguerra quando bisognava ricostruire e la ricerca era intesa come ricostruzione, si trova nella situazione ideale per aiutare la ripresa, perché ha le caratteristiche essenziali per sviluppare questi ecosistemi di cui oggi si parla. Tutte le discipline sono presenti e tutti i progetti e i programmi si sviluppano in maniera davvero multidisciplinare, cioè senza divisione per discipline, come purtroppo tutt’ora succede nel sistema universitario. Ci sono grandi problemi che vengono affrontati da più parti e la ricerca fondamentale è chiaramente il propellente di tutto il progresso. Non è più come un tempo, quando ognuno sviluppava la propria scienza, la propria tecnologia e poi chissà cosa accadeva. Ora lavoriamo per trasmettere l’informazione, infatti abbiamo appena pubblicato un’importante piattaforma, outreach.cnr.it, che serve proprio a fornire informazioni a tutti. E soprattutto ci impegniamo per la valorizzazione della ricerca: molte sono state le iniziative partite a priori dall’interazione con le piccole e medie industrie e con dottorati di ricerca innovativi. Il trucco sta nel mettere tutte le discipline insieme, nell’organizzare un piano strategico a tutto campo, inserendo da subito anche l’industria. Il Campus, dove io peraltro insegno, è uno strumento formidabile, già avviato verso questa direzione. Facciamo ricerca accordando tutti gli aspetti che la interessano, da quello filosofico fino ai più tecnici, ponendo molta attenzione alla risposta sociale. È fondamentale inserire queste risorse multidisciplinari in progetti, affrontando problematiche in maniera integrata, condivisa e discussa. Credo che in tal senso il CNR darà una spinta importante alla ripartenza economica, perché è di questo che abbiamo bisogno.

D. Vuole regalarci qualche approfondimento riguardo al ruolo che la ricerca italiana può avere nel mondo a livello internazionale?

R.: Molti dei nostri progetti sono focalizzati sul digitale. Il Consiglio Nazionale delle Ricerche sta coordinando una scuola di dottorato nazionale in Intelligenza Artificiale che si sviluppa in maniera trasversale, dall’agricoltura di precisione e la relativa industria, alla cyber security e la salute, la cui sede principale è nel Campus Bio-Medico. È ovvio che tutta la nostra ricerca si svolge senza barriere, in interazione con il resto del mondo. Potrei citare una grande infrastruttura europea che racchiude la sintesi di tutto quello che abbiamo detto in questi interventi, storia, filosofia, archeologia, chimica per i restauri e divulgazione delle informazioni. Si chiama E-RIHS ed è un ERIC (European Research Infrastructure Consortium) della Comunità europea, abbiamo ricevuto da poche settimane la conferma che l’Italia e il CNR saranno la nazione e l’ente che la coordineranno. È chiaro come la dimensione della ricerca che facciamo sia internazionale.

Un altro aspetto molto importante è quello dell’economia associata alle problematiche del Mediterraneo. Anche qui sono impiegate tecnologie molto sofisticate, un’intelligenza artificiale che controlla lo stato delle coste e dei mari, e anche in questo caso siamo collegati all’Europa e a tutto il mondo industriale.

Infine, un esperimento bellissimo, a mio avviso, è quello lanciato da uno dei Competence Center del MISE, coordinato dal CNR e dedicato alla security su Genova e la zona del porto. Coinvolge numerose piccole e medie industrie e risponde con progetti di ricerca che sono sia nazionali che europei.

D. Sentendola mi torna alla mente la sua ultima lezione magistrale pubblica a cui ho assistito, in cui parlava di complessità, dalle nanoscale alle macroscale. Siamo in un’epoca di complessità e sembra che anche in questa logica di ecosistemi bisognerà prenderla sul serio e non cercare di ignorarla o ridurla, fare in modo che sia tra le risposte più che tra le domande. Da questo punto di vista ha qualche raccomandazione da condividere con noi?

R. Assolutamente sì. Nella lezione che lei ricorda io parlavo di complessità affermando la necessità di provvedere alla salute del pianeta. Lì si parlava di cambiamenti climatici e scioglimento dei ghiacci, e si mostrava come le applicazioni, anche con lo sviluppo di dispositivi industriali, in effetti provenissero dalla fantasia di ricerche di scienza fondamentale. In casi simili non si può dire se si stia applicando la fisica o la chimica, la geologia o la biologia, è un tutt’uno, un lavoro in team.

La sola ma importantissima differenza che c’è fra la complessità di oggi, che è quella dello stato di salute delle persone e non del pianeta, e quella che raccontavo circa sei mesi fa, è che se prima i rischi del cambiamento climatico per la salute venivano mediati dalla spiegazione di qualcuno, ora, invece, con il rischio immediato del Covid-19, i cittadini colpiti si rivolgono direttamente alla scienza. Ovviamente nessuno parla più di no-vax e altre bufale di questo genere e soprattutto sembra che si sia diffusa la consapevolezza che la scienza sia l’unico strumento per poter comprendere questa complessità di fenomeni. Quindi noi che abbiamo la fortuna di fare il più bel lavoro che ci possa essere, che è quello di fare ricerca, dobbiamo cavalcare questo momento e con tutti gli strumenti convincere il cittadino che la scienza deve essere accettata e finanziata, e allo stesso modo anche la piccola e media industria, che con il mondo della ricerca interagisce, perché solo da lì nasce l’innovazione. E, specialmente in un Paese come il nostro che non ha materie prime, è davvero lì la forza. Quindi, ecco l’importanza della scienza. Come lei dice, i grandi problemi che abbiamo sono dei problemi complessi, perché ci sono molti aspetti diversi e molte cause di cui non si conosce a priori l’effetto, però bisogna affrontare il mondo complesso in sinergia facendo sintesi del lavoro di tutti e soprattutto con ottimismo.

No Comments

Sorry, the comment form is closed at this time.