IL FUTURO DEI SISTEMI COMPLESSI

IL FUTURO DEI SISTEMI COMPLESSI

Di Sandra Mitchell, Professore di Storia e Filosofia della Scienza, University of Pittsburgh

D. Nella sua carriera ha ricoperto molti incarichi, tra cui presidente della Philosophy of Science Association e membro dell’American Association for the Advancement of Science, pensando alla situazione attuale, secondo la sua esperienza, quali ritiene siano le caratteristiche principali di questo scenario complesso, cosa dobbiamo esaminare per contribuire in maniera costruttiva a tracciare i futuri scenari economici e sociali?

R. I miei studi mi hanno portata a cercare delle spiegazioni scientifiche ai sistemi complessi e mi hanno insegnato che dobbiamo ampliare il modo in cui concepiamo le cose e il loro funzionamento. È necessario lasciare andare la nostra fissazione sulle soluzioni singole ai problemi. In un contesto che cambia continuamente, dove i sistemi hanno diversi gradi di interdipendenza e interconnessione, non possono esistere soluzioni o regole universali. Le risposte che troviamo ora non possono valere per sempre: le cose cambiano dinamicamente sia al proprio interno che in relazione agli altri sistemi, come quello della salute, quello economico, il sistema politico o dell’istruzione. Tutti questi sistemi modificandosi interagiscono fra loro così da imporci un modo di pensare totalmente diverso. Dobbiamo imparare ad attenderci l’imprevedibile e a questo scopo bisogna sviluppare una capacità di adattamento rapido, imparare a adottare delle strategie multiple anziché singole per rispondere alle varie sfide. Questa pandemia sta mettendo in luce molte dei nostri limiti sia nel modo in cui abbiamo strutturato la nostra vita e le nostre società che nell’elaborazione di risposte complesse a situazioni difficili.

Vorrei fare alcuni esempi calati nel contesto statunitense, dove io vivo e vedo con chiarezza questi fenomeni. Negli USA alcuni Stati, come quello di New York e il Wyoming, hanno avuto esigenze diverse riguardo le apparecchiature mediche e sanitarie necessarie per gestire l’escalation nel numero di contagi e di ricoveri dopo la diffusione del virus; le differenze sono riconducibili a specificità delle popolazioni in termini di densità, di risorse disponibili e di tempistica nei contagi. Nessuno degli Stati degli USA, però, è risultato essere sufficientemente preparato a fronteggiare il picco di casi di infezione. Non avevano abbastanza ventilatori né dispositivi di protezione personale, non avevano risorse in misura sufficiente, ma la prospettiva che potessero morire centinaia di migliaia di persone a causa di questa scarsità richiedeva una risposta urgente. Sfortunatamente il governo federale ha cercato di implementare una strategia di distribuzione e di approvvigionamento basata su un modello di mercato competitivo, la legge della domanda e dell’offerta, vista come universale e perciò applicata a tutto. Quindi gli Stati hanno cominciato a competere l’uno con l’altro e con il governo federale per munirsi di forniture. Questo sistema è fallito, non è stato all’altezza dei bisogni della popolazione: i prezzi sono aumentati, si è scatenato il caos e una corsa all’accaparramento. Addirittura le persone che stavano a casa hanno cucito mascherine da dare agli operatori sanitari e il bilancio delle vittime, ad oggi, è superiore a 60 mila, e la disoccupazione è salita alle stelle.

Il modello della selezione competitiva, che mette in competizione i diversi agenti al fine di adattarsi alla nuova situazione esterna, può funzionare in alcuni casi, ce lo insegna la biologia. L’evoluzione sulla base della selezione naturale nel tempo, secondo la quale una popolazione gradatamente si adatta al cambiamento delle condizioni esterne, dovuto a un virus o al riscaldamento globale, però, non soltanto è un processo lento, ma non è neppure il modello adeguato per l’evento che dobbiamo affrontare oggi. In termini più tecnici, i diversi Stati non costituiscono collettivamente una popolazione darwiniana, che risolve il problema della scarsità attraverso l’eliminazione selettiva a favore dei più adatti, così che a sopravvivere sono gli Stati più forti a scapito di quelli più deboli. Questa non è la soluzione ideale, anche se può esserlo nel processo di adattamento alle nuove condizioni ambientali.

La biologia mi ha insegnato che c’è più di un modo per risolvere i problemi ed è necessario pensare in termini di risorse quando si prendono decisioni sociali e sanitarie. I sistemi biologici complessi rispondono ai cambiamenti dirompenti con almeno altri due modelli, che potrebbero dimostrarsi più appropriati per comprendere le sfide che emergono nell’attuale pandemia, imponendoci di pensare al di fuori degli schemi della selezione e della competizione. I due modelli sono la robustezza degli organismi e la sostenibilità degli ecosistemi e si applicano a sistemi complessi che hanno specificità diverse, diversi gradi di interconnessione e interdipendenza, e risorse disomogenee.

 La robustezza è una delle caratteristiche di un organismo le cui parti in caso di turbativa collaborano in modo flessibile per preservare il funzionamento del sistema. Cosa significa? Supponiamo che vi sia una lesione traumatica in una parte del cervello. Questa può portare a un processo di riorganizzazione degli altri comparti cerebrali, a una riassegnazione delle funzioni: il compito della parte compromessa viene adesso svolto da altri comparti cerebrali che originariamente non avevano questa funzione. Le parti, quindi, non sono agenti indipendenti in competizione fra loro, sono invece subcomponenti di un tutto più grande. Quando è compromessa una parte del tutto avviene una riorganizzazione, una riprogrammazione e un coordinamento per ripristinarne la funzione; lo si vede a livello biologico, genetico, proteico e nell’organismo nel suo complesso. Si assiste all’azione di questo meccanismo, ad esempio, in risposta al tumore: il corpo e i tessuti si riorganizzano per reagire attraverso una riprogrammazione. Alcune delle proprietà che permettono tutto ciò sono la plasticità e la flessibilità. Quindi anziché una fissazione rigida sul funzionamento del sistema in condizioni normali, questo modello presuppone la capacità di ristrutturare rapidamente e in tempo reale, senza aspettare che sia la selezione naturale a operare la distinzione fra ciò che funziona e ciò che non funziona.

Continuando a mantenere il focus sugli Stati Uniti, possiamo osservare alcuni esempi di questa dinamica. La California e l’Oregon, che non avevano lo stesso livello di contagi e ricoveri di altri, hanno inviato ventilatori e apparecchiature mediche a New York nel momento in cui la città era in piena crisi. Quando, poi, il numero di ricoveri ha raggiunto il picco e ha cominciato a scendere, New York ha rimandato indietro quei ventilatori e altri supplementari in modo tale che questi Stati potessero prepararsi. Allo stesso modo, 95 mila operatori sanitari sono rientrati in servizio dopo il pensionamento, trasferendosi e riprogrammando la propria vita per andare lì dove i loro servizi erano necessari per fronteggiare la situazione.

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