26 Mag IL FUTURO DEL LAVORO E DELL’APPRENDIMENTO – TAVOLA ROTONDA
Di Maria Chiara Carrozza (Presidente del Gruppo Nazionale di Bioingegneria), Luca Solari (Professore di Organizzazione Aziendale, Università Statale Milano), Franco Amicucci (Presidente Skilla)
D. Vorrei chiedere a Maria Chiara Carrozza, vista anche la sua esperienza come ministro dell’istruzione tra il 2013 e il 2014, un focus su questo momento della scuola italiana che ne sta evidenziando pregi e difetti e rende evidente la necessità di contrastare il digital divide e il bisogno di dirigerci verso un futuro migliore per l’apprendimento. Quali prospettive vede per il futuro?
R. Maria Chiara Carrozza: Vedo la svolta che siamo stati costretti a intraprendere. Passare a un tipo di insegnamento on line è un momento di svolta per riflettere su come cambierà in futuro la scuola adeguandosi agli strumenti tecnologici di oggi. In effetti la scuola del 1800, quella dell’Unità d’Italia basata sul banco di legno e sulla carta, oggi si deve adattare a nuovi strumenti di comunicazione. È chiaro che queste tecnologie influenzeranno anche il modo stesso di esprimere la creatività: dovrà essere un’occasione per ripensare il modo di insegnare non certo per trasportare su pdf gli appunti o le note che avevamo prima. Questo, credo, comporta un grande sforzo educativo: sfruttare, per esempio, la robotica come supporto all’apprendimento è la nuova frontiera della scuola digitale, come anche utilizzare le interfacce che abbiamo per sostenere l’apprendimento di persone con forme di disabilità intellettive e per dare loro potenzialità. A me piace parlare di learning support, cioè di supporto all’apprendimento, non di somministrazione di contenuti in modo digitale. Mi sembra un cambiamento sostanziale. Chissà se avremo le infrastrutture per poter garantire a tutti gli alunni e gli studenti d’Italia la stessa connessione in modo tale che possano fruire di questi contenuti nel modo migliore. Questa è la sfida.
D. Mi sembra una sfida abbastanza chiara e sicuramente non facile. Uno spunto ulteriore lo chiedo a Luca Solari. Qual è il rapporto tra lavoro e apprendimento, come si passa da un modello di comando a uno nuovo?
R. Luca Solari: Nel rapporto tra lavoro e apprendimento abbiamo due dimensioni. La prima è legata all’apprendimento richiesto dal lavoro, e quindi fa riferimento ai sistemi educativi riguardo ai quali, come ricordava Maria Chiara Carrozza, è necessario fare una riflessione profonda non tanto sulle tecnologie che abbiamo utilizzato ma sul rapporto che deve esistere tra il programma, che è un po’ il dominus di quello che è l’insegnamento nella scuola, e invece le esigenze effettive di formazione di un cittadino completo. Dall’altro lato c’è la dimensione del lavoro che è in sé apprendimento. Oggi viviamo sempre meno l’esperienza di lavori che si imparano una volta per tutte, ma sperimentiamo lavori che hanno in sé apprendimento e questo di fatto genera la necessità sia di dedicare nella vita lavorativa spazi adeguati per soffermarsi sul progresso delle proprie competenze sia di politiche di investimento su formazione permanente e continua – una delle grandi assenti tra le politiche attive del nostro Paese. Abbiamo speso una quantità enorme di fondi strutturali per la formazione, ma li abbiamo spesi male e tutte le ricerche lo dimostrano. Forse è venuto il momento di iniziare a spendere bene, per ciò che serve davvero. Non spendere per chi fa formazione, ma per chi deve apprendere; il rapporto è strettissimo.
Non a caso esistono poche ricerche sull’innovazione organizzativa in chiave comparativa in Europa. Una di queste, quella del 2012, ci dice in maniera molto chiara che l’Italia è tra i Paesi europei al di sotto della media per quanto riguarda la presenza di forme innovative di organizzazione interna, ciò vuol dire la Lean o i modelli che oggi sono più in voga nella discussione, come l’organizzazione Agile, la sociocracy oppure la learning organization, di moda nel passato, tutti modelli che pongono la loro attenzione sulla capacità delle persone di apprendere in autonomia rispetto a un set di obiettivi chiari e definiti. Il paradosso vuole che questa crisi terribile sia una delle più grandi opportunità che abbiamo per affrontare alla radice il problema del nostro Paese: la produttività. Per anni l’abbiamo affrontato pensando fosse una questione di costi, di lavoro e di flessibilità, ma invece è un problema di modelli di organizzazione e di business. È il momento di metterci mano.
D. Mi sembra il la perfetto per passare la parola a Franco Amicucci. Come possiamo concentrarci su un apprendimento semplice, veloce ed ecosistemico?
R. Franco Amicucci: Stiamo vivendo nel più grande ecosistema di apprendimento della storia dell’uomo, perché il web, come veniva definito, è una grande biblioteca-ipertesto. Solo che questa enorme massa di informazioni non significa di per sé conoscenza. Per trasformarla in vera evoluzione e in vera conoscenza si presenta un problema di metodo: come trasformare le informazioni, che sono spesso tutte disperse e senza gerarchia, in una nuova disciplina. Negli anni passati per la didattica tradizionale si parlava di carenze nel metodo di studio, oggi, invece, nel nuovo sistema digitale e fisico il problema è nel metodo di apprendimento. Se sviluppiamo una nuova metodologia di apprendimento, a partire dai ragazzi fino agli adulti, possiamo utilizzare bene questa grande opportunità che abbiamo.
Certo, ci sono alcuni passaggi da effettuare, per gli adulti il primo è quello di disapprendere. Di fronte a questi nuovi ecosistemi disapprendere vecchi metodi e abbandonare alcuni schemi mentali è necessario per sfruttare questa occasione. Basti pensare che i nostri sistemi di potere sono in mano a persone con gravi carenze di competenza digitale, anche per problemi di anzianità, mentre chi ha competenze digitali, come i giovani, spesso non ha potere. Questo è un paradosso organizzativo. Bisogna pensare a modelli sociali nuovi per creare l’innovazione di cui nei prossimi mesi avremo bisogno di tutti.
D. Maria Chiara Carrozza vorrei chiederle a questo punto come crede che la scuola potrebbe accogliere una visione ecosistemica, come cioè si potrebbe collegare una nuova forma di scuola, che al momento purtroppo sforna ancora dei perfetti cittadini degli anni ’80 o forse ’90, con una visione ecosistemica lanciata verso il futuro.
R. Maria Chiara Carrozza: In primo luogo andranno rivisti i tempi e i modi della scuola, anche perché la formazione sarà necessaria durante tutto il periodo lavorativo. Questo sarà sicuramente un cambiamento nel futuro: la scuola non si limiterà a una parte iniziale che precede la vita lavorativa, ma si dovrà tornare a formarsi via via che la tecnologia evolverà. È una costante ormai negli ambiti più tecnologici e si diffonderà anche negli altri. Il secondo aspetto è non limitarsi alla durata della lezione e avere una concezione diversa del rapporto fra insegnante e studente. Non credo che l’insegnante verrà sostituito da un robot, pur essendo io robotica, anzi forse questa professione sarà quella che resisterà più a lungo. Sicuramente, però, cambieranno le relazioni perché l’apprendimento sarà mediato dalla tecnologia.
D. Non posso che passare dalla figura dell’insegnante a quella dell’imprenditore. Vorrei chiedere a Luca Solari: farà fatica l’imprenditore a adeguarsi a questo nuovo modello ecosistemico?
R. Luca Solari: Devo dire che tutti gli studi degli anni ’80 e ’90 sull’impresa in Italia ci dicono che in realtà il nostro tessuto storico è stato fatto da imprese che hanno creato ecosistemi, solo che si trattava di ecosistemi allargati, le famose reti di organizzazione, come si chiamavano un tempo. Oggi purtroppo quell’esperienza è finita e non siamo stati in grado di far evolvere quel tipo di modello.
Credo allora che gli imprenditori faranno fatica, ma soprattutto per un’altra ragione. Noi siamo un Paese molto debole nell’aiutare le piccole e le medie imprese, nell’affrontare il tema dell’organizzazione. In altre nazioni, penso alla Germania, ci sono realtà come Fraunhofer che tra i vari obiettivi di traslazione della ricerca ha anche quello di aiutare il management delle imprese. Non possiamo continuare a vivere solo sulle spalle dei nostri imprenditori senza capire che bisogna far crescere le catene di fornitura e intere aree del sistema. Ci vorrebbe una serie di iniziative di trasferimento di quel tipo di know how per fare in modo che i nostri imprenditori, senza dover investire in consulenze, possano modificare in maniera efficace le loro organizzazioni.
D. Roberto Amicucci, mi sembra che questo sistema di trasferimento di informazioni sia necessario anche nel ripensamento della didattica scolastica. Per i ragazzi le cinque ore di lezione sembrano ormai fuori tempo massimo.
R. Franco Amicucci: Si passa dal tempo lineare dell’apprendimento al momento efficace dell’apprendimento. L’insegnante o il formatore dovrà diventare sempre più un learning coach, credo, perché l’informazione sarà nei sistemi e quindi si dovrà insegnare a navigare negli ecosistemi e a orientarvisi. Un coach dell’apprendimento sarà l’evoluzione di qualunque insegnante.
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