“Il grande vantaggio di arricchire vite” – Uno scambio di idee fra Franco Bolelli e Marco Simoni

“Il grande vantaggio di arricchire vite” – Uno scambio di idee fra Franco Bolelli e Marco Simoni

di Franco Bolelli

Se affermo che l’economia non può più essere al centro della nostra esistenza, potrebbe sembrare che io mi unisca allo sdegnato coro anticapitalista e anticonsumista, se non a quello penitenziale della decrescita. Ecco no, non è minimamente così. Credo anzi che togliere l’economia dal posto di comando sia la cosa migliore che possa capitare all’economia stessa. Un vantaggio, non una punizione. 

Confesso subito che di economia non ci capisco un bel niente. E allora perché ne parli?, si inalbererà qualcuno. Ne parlo e mi sento legittimato a farlo perchè l’economia la guardo da un altro punto di vista, e spesso guardare qualcosa da fuori -o da sopra, o da sotto, o da una prospettiva trasversale o da una ellittica- ti permette di mettere a fuoco una visione che da dentro non avresti mai. E questa visione mi dice che l’economia ha tutto da guadagnare se smette di essere unità di misura centrale. 

In verità questa intuizione l’ho ritrovata, aumentata ed eletta a paradigma, anche dentro l’economia, così dentro che di più non si può. Sto parlando di Steve Jobs, che un bel giorno intimò al suo marketing “non vendete prodotti, arricchite vite”. Dite che Steve Jobs era una sorta di mago capace di estrarre dal cilindro non un coniglio ma una tigre, e che sapeva perfettamente che predicare di non vendere prodotti l’avrebbe portato a vendere più prodotti? Ecco, appunto. Che Steve Jobs fosse o no un diabolico incantatore di serpenti è irrilevante, inutile far processi alle intenzioni: quello che conta è che esortando ad arricchire vite ha davvero finito per vendere più prodotti, molti di più. Questa cosa si chiama paradosso, e rivela inequivocabilmente che la mente paradossale è molto superiore alla mente lineare, in particolare nel mondo connesso e complesso in cui stiamo vivendo. Paradossale è anche questo che sto proponendo qui: se non è l’alfa e l’omega della nostra esistenza, l’economia può espandersi invece che contrarsi. 

Per capire come, avventuriamoci in quell’ “arrichite vite”. Perchè al centro di tutto quanto -relazioni, idee, progetti, invenzioni, prodotti- dovrebbe esserci sempre una funzione vitale e umana. Sgomberiamo subito il campo da un pericoloso equivoco: non sto minimamente parlando di quanto si definisce “a misura d’uomo”. Noi umani abbiamo naturalmente bisogno di respiro, quiete, cura, per non diventare criceti che ossessivamente corrono sulla ruota. Ma noi umani siamo innanzitutto slanci, impulso a costruire, senso dell’impresa, spinta a lavorare sempre sui margini di miglioramento. Senza queste spinte non ci sarebbe mai stata nessuna evoluzione. Questa è la vera, potente misura d’uomo (e di donna), il senso dell’avventura umana. 

Ecco, può il mondo dell’economia e della produzione arricchire le nostre vite? Non sarei qui a scriverne se non credessi di sì. Credo che -al di là dell’ovvia funzione pratica che ogni prodotto non può non avere- si debbano immaginare prodotti e beni di consumo che possono accendere un fuoco nella nostra percezione, che ci mettono in contatto con un’esperienza più vivida, che ci fanno sentire un minimo più completi. Ci sono non pochi esempi, perché in tanti campi la ricerca genera prodotti tutt’altro che usa-e-getta, prodotti che creano con noi umani una relazione molto più ricca del vecchio, manipolatorio indurre bisogni che si dà poi l’illusione di colmare. Questa attitudine più espansiva, Alessandro Baricco l’ha definita “elaborare vita”, e noi possiamo elaborare vita soltanto in una prospettiva ecosistemica in cui economia, filosofia, scienza, tecnologia, linguaggio, architettura, e tutto il resto sperimentano insieme (sperimentare è oggi più che mai la linea di condotta), uscendo dai propri perimetri illusoriamente rassicuranti ma in realtà sempre più asfittici. 

E’ questa l’ambizione di Venture Thinking. Costruire insieme paradigmi che arricchendo ed elaborando vite riescano ad arricchire l’economia.  

Di Marco Simoni

Ieri sono andato a fare una corsa, ero un po’ spompato e demotivato, ho deciso di fare un allenamento blando di 45 minuti che così si è sviluppato, con un ritmo anche più patetico del solito. Quando mancavano circa dieci minuti alla fine stavo uscendo dal parco per tornare a casa e sono inciampato in una radice, per fortuna ho avuto un riflesso che mi ha fatto cadere di fianco e mi sono sbucciato mani e ginocchia, ma molto poco. È accaduto allora che la caduta ha avuto un effetto di sveglia e, penso complice l’adrenalina che si libera automaticamente nel corpo in caso di pericolo, gli ultimi dieci minuti li ho corsi molto velocemente e allegramente, avrei anzi continuato a correre se non avessi ritenuto più prudente tornare a casa a disinfettarmi. Il paradosso è che per correre meglio, più allegri e più veloci è stato bene cadere! Allora si comprendono anche meglio questi giorni in cui sto sempre a casa a lavorare nel mio ufficio, giorni che trovo veramente difficili da sopportare, nei quali si sta come i criceti nella ruota perché molto se non tutto di ciò che definisce la nostra umanità, per rubare parole a Franco, viene messo da parte e in pausa: non solo gli incontri con le persone che ti va di vedere, ma anche quelli con le persone che non sopporti, le file e il traffico, gli slanci in avanti ma anche le cadute, senza le quali si fa fatica a trovare il senso, senza le quali si corre più lenti e svogliati.

L’economia, o la sua volgarizzazione spesso con riferimenti a teorie vecchie e superate (erano buone anni prima!), in questi anni ha occupato ogni interstizio al punto da diventare incapace di cogliere i meccanismi profondi di funzionamento, e non solo perché per sua stessa costruzione è incapace di capire che per correre meglio bisogna cadere (ogni tanto!), ma anche per la pretesa di non avere tali limiti, di avere gli strumenti per spiegare tutto! Per adoperare un tema sul quale sono meno incerto: tutta la discussione sull’Europa di questi mesi recenti mostra una cosa molto chiaramente. Abbiamo per decenni discusso di come rendere la zona euro economicamente sostenibile, cosa difficile avendo una politica monetaria comune ma non una politica fiscale comune. In realtà la sfida vera sulla quale ci saremmo dovuti concentrare erano gli strumenti per renderla politicamente sostenibile, perché basare tutta l’Unione sul principio chiave della concorrenza, in assenza di solidarietà e condivisione dei rischi, mina la tenuta di qualsiasi unione politica. Tra le due grandezze – concorrenza e condivisione dei rischi – non c’è una relazione economica, ma ce n’è una politica, ovvero relativa a un senso di giustizia umana e sostanziale, lo stesso tipo di relazione e parametro di giudizio che qualche anno fa ha provocato l’uggia popolare contro le banche, che magari non era comprensibile da un punto di vista strettamente economico o giuridico, ma non per questo meno vera, ma soprattutto non per questo necessariamente sbagliata, perché i parametri per decidere ciò che è giusto e sbagliato non sono solo economici, e forse per la maggior parte delle persone non sono mai economici.

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