ESEMPI DI ECOSISTEMI

ESEMPI DI ECOSISTEMI

Di Enrico Loccioni (Presidente Loccioni), Serena Porcari (CEO Dynamo)

D. Enrico Loccioni, la sua impresa sta mostrando da tempo con un esempio reale e concreto cosa significa ecosistema. Sarebbe molto importante per le piccole e medie imprese carpire esperienze e consigli dalla sua testimonianza, in particolare comprendere come questo percorso ecosistemico abbia portato all’azienda e al territorio vantaggi in termini di benessere e di sviluppo sociale, di creatività e d’innovazione.

R. Enrico Loccioni: Non ho ricette se non esperienze da raccontare, e se qualcuno può trarne qualche spunto, allora tutti noi abbiamo fatto un buon lavoro. In effetti, questa storia che si svolge nell’entroterra agricolo dell’anconetano, tra Jesi e Fabriano, ha visto ormai più di 70 anni fa nascere questa realtà. 70 anni fa sono nato io in una campagna senza elettricità, né acqua corrente; e quello nei primi anni è diventato l’embrione di un’impresa che ha iniziato nel ‘68 a risolvere problemi e a realizzare soluzioni ad alto contenuto tecnologico e d’innovazione per clienti, prima vicini, grazie a Vittorio Merloni e a chi ci ha offerto delle sfide, e poi internazionali. Oggi il gruppo realizza l’idea che tutto quello che fa nei quattro settori di mercato, energia, ambiente, mobilità, ma soprattutto benessere, in effetti persegua un fine alto, che coinvolge tutte le persone con una visione elevata del benessere dell’uomo e del pianeta.

È una piccola impresa artigianale che il grande valore del territorio ha portato a realizzare qualcosa di unico, di tagliato su misura proprio perché così legato al contesto in cui opera. Immaginiamo l’impresa come un sistema, un ecosistema che nasce, evolve e a volte interrompe il suo percorso. Ci vediamo come un cursore che ha iniziato a camminare nel ‘68 dal niente e poi ha continuato non più da solo, ma con intorno tante persone unite nei valori di sviluppo. Per adesso il nostro cursore si è fermato a un progetto con una prospettiva al 2068, 100 anni dalla fondazione.

Siamo dei risolutori di problemi, ci occupiamo di sistemi su misura per il controllo della qualità dei processi e soprattutto dei prodotti in tutti i settori. E in modo particolare ora ci stiamo occupando di un bel lavoro sullo sviluppo di una filiera oncologica negli ospedali per la preparazione in automatico dei farmaci chemioterapici.

Naturalmente è un’impresa e come tale lavora e ha avuto a che fare con tanti problemi, alcuni ha cercato di risolverli e altri di anticiparli, ma, come tutte le imprese, senza mercato, clienti e fornitori non va da nessuna parte. E questo territorio, che è ricco di storia e di cultura, con abbazie e borghi bellissimi, ma che sta subendo un pericoloso calo demografico, ha un ruolo fondamentale nel nostro modello di impresa. Per noi sono importanti i termini: non parliamo di officine, di produzione e di linee di produzione, ma di laboratorio e di collaboratori, cioè di individui che prendono parte allo sviluppo di un idea. Le persone sono da sempre e per sempre saranno il capitale e il valore più grande che un’impresa come la nostra può avere.

È un’impresa che comprende tutte le età. Abbiamo una popolazione di studenti, di laureandi che chiamiamo “azionisti di lavoro”, perché investono tempo e denaro per costruire conoscenza. Lo studente viene ospitato per sviluppare una competenza, che inserita in un ambiente come il nostro lo aiuta a sviluppare una propria identità. Questo processo di inserimento, di scelta reciproca da parte loro e nostra, continua in un percorso di crescita professionale all’interno del gruppo, in un’auspicabile prospettiva di dirigenza, cioè di fiducia totale nella collaborazione. È importante capire come per noi l’uscita di un valido collaboratore verso un’altra realtà equivalga a una sconfitta. L’alternativa più interessante, migliore, è quella di aiutarlo a mettersi in proprio. In 40 anni circa, da quando abbiamo formalizzato questo tipo di rapporto, il clima nell’impresa è sicuramente migliorato perché nessuno si sente più vincolato e più di 100 persone se ne sono andate, una o al massimo tre all’anno, per mettersi in proprio, per avviare anche attività diverse da questa. Ne abbiamo tanti esempi.

L’80% delle persone che collaborano con noi vengono dal nostro territorio, al massimo percorrono 30 minuti di macchina per arrivare, gli altri, che costituiscono il 20%, sono invece internazionali, arrivano da tutti i Paesi. Se guardiamo oltre questo primo circuito, per noi già Ascoli Piceno o Bologna possono diventare l’inizio di percorsi internazionali.

In questo lavoro bisogna cercare e attuare tutte le idee capaci di mettere in sicurezza l’impresa. Nel ‘90 un’alluvione ci ha dato serie difficoltà. Qualche anno dopo, tra gli anni 2010 e 2015, in attesa che qualcuno sistemasse l’Esino, il principale fiume marchigiano, abbiamo investito il profitto dell’impresa, qualche milione di euro, per sistemare due chilometri di fiume. Utilizzando il fiume come risorsa e non come minaccia, si è creato un bellissimo rapporto di collaborazione tra pubblico e privato. E di rapporti di questo genere ne abbiamo altri, con le università, ad esempio, o con gli ospedali, e attraverso di questi sviluppiamo competenze pur rimanendo ognuno nel proprio ambito.

Un investimento che abbiamo fatto negli anni e che sicuramente continueremo a fare è quello sulle persone e sulle tecnologie. Abbiamo oggi circa 400 collaboratori, per metà laureati, ma tutti ex studenti, che hanno fatto, cioè, un percorso di formazione qui dentro. Abbiamo sviluppato in area urbana questa idea d’impresa sostenibile anche dal punto di vista energetico e ambientale. Abbiamo gradualmente eliminato il metano, e una microgrid in alcuni momenti del giorno ci rende autonomi. Stiamo allargando, inoltre, questa esperienza in area rurale, perché l’idea di valorizzazione di tutto quello che abbiamo abbandonato ci ha convinto a portare la competenza della misura nelle filiere che vanno dal suolo al cibo, dal terreno al grano alla farina. Lo spostamento, però, non è da vedere in un’ottica di business ma come un laboratorio che coinvolga i giovani e li aiuti a sviluppare questo tipo di lavoro. Sto parlando del progetto della Valle di San Clemente e del progetto della Leaf Community, entrambi organizzati in questa zona.

Per concludere, il messaggio che abbiamo ascoltato anni fa è quello di un vecchio amico e parroco di campagna, che non c’è più da anni. Una volta è venuto qui e scherzando ci ha detto quello che ora riporto come messaggio, cioè che noi siamo tutti usufruttuari, arriviamo, troviamo quello che per ventura abbiamo trovato e naturalmente non portiamo via niente quando finisce il percorso. L’importante è lasciare meglio di come si è trovato. E tale principio noi lo applichiamo in tutto ciò che facciamo, dall’ambiente da tenere ordinato al cliente da rendere soddisfatto.

Questo discorso del miglioramento continuo rispetto al cambiamento è diventato il driver che ci ha accompagnato finora. Speriamo che continui a farlo anche per il prossimo futuro.

D. Serena Porcari ci offre invece, con Dynamo Camp, un esempio interessantissimo di iniziativa sociale sul territorio, la cui idea di fondo è quella di parlare di diritto alla felicità, un tema che è essenziale toccare. Siamo ossessionati dal prodotto interno lordo, ma c’è anche un indice della felicità che è altrettanto importante o forse più. A Dynamo Camp i bambini malati non sono semplicemente persone di passaggio, ma sono innanzitutto bambini, la cura è ridere e la medicina è l’allegria. Il campo offre a bambini e ad adolescenti malati e alle loro famiglie attività gratuite di terapia ricreativa, volta a rafforzare la fiducia in se stessi e nelle proprie capacità con benefici di lungo periodo. Quello che mi ha colpito è che anche qui c’è una visione fortemente ecosistemica, già a partire dal fatto che non vengono accolti soltanto i bambini, ma anche i genitori. C’è un riconoscimento del senso della collettività e del valore della famiglia, ma soprattutto della relazione tra esseri umani, di come il contatto umano sia una primissima ed essenziale forma di cura.

R. Serena Porcari: Dynamo è un’organizzazione nata da un’esperienza imprenditoriale il cui fondatore ha voluto creare qualcosa di diverso nel terzo settore. Il terzo settore all’inizio degli anni 2000 era un luogo in cui vivere e lavorare era abbastanza arduo, soprattutto nel nostro Paese dove, sebbene ci fosse tanta attenzione verso il volontariato, non ce n’era altrettanta nei confronti di un’organizzazione quasi industriale della filantropia.

Questa impresa mira a un obiettivo molto semplice, ma in sé anche molto difficile da realizzare. In un luogo stupendo, nell’Appennino toscano verso l’Emilia Romagna, in provincia di Pistoia, a San Marcello Piteglio, in una proprietà di 1200 ettari con una precedente storia industriale, ospitiamo per vacanze completamente gratuite bambini che hanno patologie gravi e croniche. Dopo aver passato tanto tempo in ospedale o mentre vivono un’esperienza molto dura con la propria malattia o disabilità, grazie alla presenza di personale medico e di staff professionale e volontario, i minori sono in grado di trascorrere questo periodo da soli, senza genitori, in totale sicurezza. Oltre a ciò è previsto anche un programma per l’intero nucleo familiare, quando disabilità e malattie croniche hanno un impatto sulla vita di tutta la famiglia. Questo tipo di complessità si gestisce cercando di far sentire loro la normalità grazie all’aiuto delle altre famiglie. Quindi famiglie che hanno le stesse difficoltà e gli stessi problemi si ritrovano, provenienti da parti diverse del nostro Paese, e riescono a condividere e a scambiare opinioni, punti di vista ed esperienze concrete della loro quotidianità.

Nel Dynamo Camp tutto ciò è possibile grazie a un sistema professionale di organizzazione del lavoro. Questo non-profit, che è gratuito per i bambini e per le famiglie, che non chiede nulla agli ospedali né alle associazioni, permette un’esperienza in sicurezza medica, fisica e soprattutto in un’atmosfera divertente. A garantire questo ci sono persone che lavorano tutti i giorni, una struttura realizzata come un’impresa, più di 500 procedure diverse a seconda delle esigenze, personale medico residente e un’ampia comunità di volontari che in questi anni si è accresciuta permettendoci di aggiungere tantissima allegria alle attività sportive, ricreative e mediche. I volontari hanno dai 18 anni in su senza limite d’età, e arrivano da tutta Italia per donare la propria settimana o il weekend, a seconda della lunghezza della sessione, a favore dei bambini e delle loro famiglie. Il volontariato costituisce una ricchezza enorme, che ha costruito e continua a sviluppare l’ecosistema attorno cui ruota la missione sociale del Dynamo Camp.

Ma noi siamo un gruppo di imprenditori sociali, e non ci siamo fermati a Dynamo Camp. Crediamo che la raccolta fondi, la generosità delle persone sia la chiave, insieme al senso di responsabilità che ciascuno di noi deve avere nei confronti della comunità e delle persone più deboli. Però crediamo anche, da imprenditori, che si possa fare impresa e con questa impresa poi reinvestire il valore prodotto nella missione sociale stessa. Quindi in parallelo a Dynamo Camp abbiamo costruito altre imprese sociali, provando a testare tutte le forme giuridiche che il nostro Paese ci mette a disposizione, usando tutta la nostra creatività e immaginando sempre forme e modelli nuovi di organizzazione del lavoro. Abbiamo creato un’impresa che si occupa di formazione, la Dinamo Academy. Lavora con grandi, piccole e medie imprese e imprenditori individuali per aiutare a comprendere in quali casi le imprese abbiano dato il miglior supporto alle loro comunità, e quale grado di responsabilità è necessario affinché il successo di un’impresa possa esserle ridistribuito intorno. Perché responsabilità non è creare soltanto occupazione, ma anche valore aggiunto. Abbiamo realizzato anche un’impresa alimentare, un’impresa che distribuisce acqua, un’impresa di abbigliamento, e tutte destinano una parte o la totalità dei propri profitti alla missione sociale di Dynamo Camp. Questo ci ha permesso negli anni di raggiungere un’occupazione complessiva di quasi 200 persone e di 2000 volontari, che si alternano ogni anno per darci una mano.

Questo è in breve il nostro ecosistema, basato sulla cultura del “non fermarsi mai” e del “perché no?”, e quindi tendenzialmente non si fermerà mai e di certo svilupperà altre imprese sociali nei prossimi anni.

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