Nel 1906 San Francisco fu colpita da un fortissimo terremoto che rese inagibili tutte le infrastrutture. La collaborazione pubblico-privato diede vita a una società privata per la rigenerazione urbana. Grazie a quella esperienza la società – Cbre – divenne dopo cento anni il numero uno al mondo nel settore della consulenza immobiliare. Nel 2020, il Covid è stato un terremoto molto più grave che non ha toccato le mura dei palazzi, ma ha raso al suolo le relazioni. Gli spazi sono rimasti integri, ma sono stati svuotati dal loro senso.
Uffici, case, scuole, ristoranti, teatri, palestre da un giorno all’altro sono diventati disabitati, vuoti, senza vita.
Una grande quantità di spazi, di diverso uso e tipologia, è diventata per la prima volta, in tutto il mondo, sovrabbondante. Riteniamo, come nel 1906, che ci sia una nuova opportunità, quella di riportare la vita nelle città. Ma con un paradigma e una modalità diversa rispetto a quella del secolo scorso. Nel pieno corso della transizione digitale e sostenibile sarebbe un ossimoro portare avanti piani esclusivi di ricostruzione, di efficientamento tecnologico degli impianti e delle dotazioni, di rigenerazione urbana per come li abbiamo visti e conosciuti fino a ora. Insomma, la grande trasformazione digitale “scongela” il tempo e lo spazio del lavoro e la nuova normalità è nientemeno che la riproposizione delle idee degli anni 90?
Non esiste sviluppo territoriale senza la creazione di veri ecosistemi territoriali digitali, in cui la Pubblica amministrazione sì trasformi in piattoaforma abilitante di servizio, promozione e dialogo. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) avrà respiro se riforme e risorse ne terranno conto.
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